Il Gianicolo è un colle di Roma, sebbene non faccia parte del gruppo dei tradizionali “sette colli”: è un luogo molto amato sia dai romani che dai turisti per gli splendidi panorami che si possono ammirare da lì ed è meta di romantiche passeggiate. La tradizione vuole che il suo nome derivi da un centro abitato fondato proprio qui dal dio Giano. Questo dio regnava, secondo la religione romana, su ogni luogo di passaggio (Giano deriva dal latino ianus, cioè porta, uscio) e, visto che il Gianicolo fungeva simbolicamente da porta della città verso il nord-ovest, la dedica a lui in questo luogo ha una sua logica.

La storia del Gianicolo

Nell’antichità, gli Etruschi di Veio avevano stabilito un avamposto sul Gianicolo, da dove partivano per razziare la campagna romana. Il colle fu riconquistato e fortificato dal re Anco Marzio in quanto l’occupazione del Gianicolo era indispensabile alla difesa della città.

In epoca imperiale il Gianicolo faceva parte della XIV Regione, che comprendeva anche Trastevere e l’Isola Tiberina, principalmente occupata da ville e giardini e tutt’ora il colle ospita eleganti e prestigiose residenze, come la Villa Il Vascello, spesso sedi di Ambasciate e Accademie internazionali. Con le invasioni barbariche le pendici del Gianicolo furono abbandonate e la popolazione si raccolse lungo le sponde del Tevere.

Nel 1849 quando l’esercito francese attaccò la città, il colle fu teatro di eroici combattimenti: i repubblicani di Garibaldi resistettero per settimane alle truppe francesi di gran lunga superiori, finché non furono sopraffatti e qui sono ancora conservate numerose memorie di quelle giornate.

Una passeggiata sul Gianicolo

In un’ideale passeggiata, salendo da Trastevere incontriamo come prima cosa la Chiesa di San Pietro in MontorioEssa sorge sul luogo dove, secondo la tradizione, l’apostolo Pietro fu crocifisso sulla croce capovolta, sebbene storicamente sembra che il martirio di S. Pietro sia avvenuto nel circo di Caligola e Nerone (localizzato sull’attuale fianco sinistro della basilica Vaticana).

La chiesa fu fondata nel Medioevo per i monaci Celestini, nel XII secolo passò ai Benedettini ed alla fine del Quattrocento fu affidata da papa Sisto IV ai frati Francescani. I frati, quando si diffuse la notizia che la chiesa conteneva la memoria del martirio di S.Pietro, provvidero a far abbattere il vecchio edificio per costruirne uno nuovo. Architetto della ricostruzione fu Baccio Pontelli. I bombardamenti avvenuti durante i combattimenti a difesa della Repubblica Romana nel 1849 danneggiarono seriamente la chiesa, distruggendo il quattrocentesco campanile (che fu poi interamente ricostruito), parte dell’abside ed il tetto. Fatto curioso: una palla di cannone è stata lasciata incastrata nel muro esterno a memoria dell’evento.

La chiesa conserva notevoli opere d’arte di Daniele da Volterra, di Giorgio Vasari, di Sebastiano del Piombo e di Gian Lorenzo Bernini. Sotto l’altare maggiore, non ricordata da alcuna lapide come avveniva per tutti i giustiziati, è sepolta Beatrice Cenci, la sfortunata protagonista di un celebre fatto di sangue cittadino. Fino al settembre 1789, all’interno della chiesa era conservata, in una teca, la testa di Beatrice, decapitata in piazza di ponte S. Angelo l’11 settembre 1599. Un soldato francese profanò la teca e, dopo essersi divertito a prendere a calci la testa di una delle donne più belle di Roma, si portò via il macabro trofeo. Per uno scherzo del destino, la testa  del soldato andò ad ornare la teca di un sultano in Africa!

Alla destra della chiesa, si accede al chiostro al cui centro si innalza il bellissimo Tempietto del Bramante sorto proprio sul luogo dove la leggenda vuole che sia stato crocifisso S.Pietro: difatti nella cappella sotterranea si può vedere il foro nel quale sarebbe stata piantata la croce del martirio. Il Bramante realizzò, nel 1502, quello che molti considerano il primo vero edificio rinascimentale di Roma su commissione di Ferdinando ed Isabella di Spagna, in adempimento di un voto fatto per ottenere un erede. La forma circolare del Tempietto riecheggia quella dei martyria cristiani, le cappelle dedicate al culto dei martiri.

A fianco del chiostro è situato l’edificio dell’Accademia di Spagna di Belle Arti, risultante dalla trasformazione dell’antico convento francescano. Dal piazzale antistante la chiesa si gode uno dei panorami più belli di Roma.

A pochi metri di distanza s’innalza il Monumento ai caduti per la causa di Roma Italiana, opera dell’architetto Giovanni Iacobucci. È una grande cubo bianco in travertino, composto da un portico a base quadrata con tre arcate su ogni lato, al centro del quale si trova una grande ara di granito rosso decorata con la lupa, simbolo di Roma, e con l’iscrizione S.P.Q.R. sopra uno scudo. Ai quattro angoli del monumento sui pilastri sono scritti i nomi dei luoghi di celebri battaglie del Risorgimento. Nella cripta-sacrario numerosi lapidi riportano i nomi dei caduti, mentre in un sarcofago di porfido è sepolto Goffredo Mameli.

Salendo verso la cima del colle ci viene incontro il cosiddetto Fontanone, ovvero la scenografica Fontana dell’Acqua Paola. All’inizio del XVII secolo l’area di Trastevere era ancora scarsamente approvvigionate d’acqua, e uno dei primi problemi affrontati dal papa Paolo V Borghese fu proprio il ripristino dell’antico acquedotto Traiano per portare l’acqua al quartiere. La mostra terminale del nuovo acquedotto fu commissionata a Giovanni Fontana, che la realizzò tra il 1611 e il 1612 con la collaborazione di Flaminio Ponzio. La metà superiore dei tre archi centrali della facciata, anziché contenere statue, è occupata da grossi finestroni rettangolari aperti in modo da consentire una parziale visibilità del giardino botanico che, all’epoca, si trovava dietro il fontanone. Il progetto originale prevedeva che l’acqua venisse raccolta in cinque vasche posizionate in corrispondenza dei cinque archi della facciata, ma nel 1690 papa Alessandro VIII commissionò a Carlo Fontana, nipote di Giovanni, la realizzazione di un progetto di ampliamento dell’opera che prevedeva l’attuale grande conca a semicerchio sporgente da una vasca rettangolare. 

Poco più in alto troviamo Porta San Pancrazio. L’antica porta Aurelia, così denominata perché da qui fuoriusciva (e fuoriesce tuttora) la via Aurelia, nel 1644  fu ricostruita per volontà di papa Urbano VIII Barberini insieme alla nuova cinta muraria denominata Gianicolense. La porta fu gravemente danneggiata nel 1849 e ricostruita nel 1854 dall’architetto Virginio Vespignani per volontà di papa Pio IX. Attualmente ospita il poco conosciuto, ma molto interessante Museo della memoria garibaldina.

Da qui è facile dirigersi verso Piazzale Garibaldi, il punto d’arrivo per ogni passeggiata in zona per gli splendidi panorami che si possono ammirare dalle terrazze. Fulcro della piazza è il Monumento a Garibaldi, la grande statua equestre del condottiero, opera di Emilio Gallori inaugurata nel 1895. Alla base della statua vi è scritta la celebre frase “O Roma o morte”. Intorno al piedistallo vi sono quattro statue minori in bronzo con scene di battaglia e figure allegoriche.

Passeggiando per il Gianicolo ci si imbatte anche in altre statue, oltre che nei  celebri busti marmorei dei garibaldini illustri, purtroppo spesso presi di mira dai vandali. Poco distante da piazzale Garibaldi sorge il Monumento ad Anita Garibaldi, l’eroica compagna dell’eroe dei due mondi, ritratta in un movimentato monumento equestre di Mario Rutelli, eretto nel 1932: all’interno della base sono deposte le ceneri di Anita, traslate da Nizza. Altre due statue sono dedicate a due personaggi molto conosciuti della storia della città. Ciceruacchio, al secolo Angelo Brunetti, fu una delle figure di spicco della Repubblica Romana. Fuggito insieme a Garibaldi dopo la caduta della città, fu catturato e fucilato insieme ai suoi figli.  La statua a lui dedicata mostra proprio il momento della fucilazione, reso ancora più drammatico dall’uccisione a tradimento anche del figlio tredicenne, a cui era stato promesso di risparmiare la vita. 

Proprio di fronte alla statua c’è la Casa di Michelangelo. L’artista in realtà non visse mai sul colle, ma la facciata della sua casa è stata ricomposta ed inserita nella costruzione che nasconde un serbatoio idraulico. In origine la casa sorgeva in una delle strade scomparse per la realizzazione del Vittoriano ed era spostata ai piedi del Campidoglio.

A un piccolo grande eroe della storia romana e al suo fedele cane è dedicato un omaggio commovente. Righetto era un orfano dodicenne che, come tanti altri durante l’assedio di Roma, si impegnò a spegnere le micce delle bombe inesplose, in modo tale che potessero essere riutilizzate contro il nemico francese. Purtroppo però, morì proprio nel tentativo di spegnerne una.

Statua di Righetto sul Gianicolo


Su uno dei fianchi del Gianicolo si distende il bellissimo Orto Botanico, che scende fino fin quasi al fiume Tevere e custodisce centinaia di specie botaniche e volendo si può proseguire la passeggiata nella vicina Villa Pamphilj.

Il cannone del Gianicolo

Secondo un’antica tradizione, a Roma il mezzogiorno viene annunciato da un colpo di cannone. La tradizione nasce con papa Pio IX,  per sincronizzare il suono delle campane delle chiese romane, evitando così che ognuna suonasse per conto proprio e dal 24 gennaio 1904 lo sparo parte proprio da un cannone (un obice della prima guerra mondiale che spara ovviamente a salve) posizionato su una delle terrazze del  colle. 

Allo sparo è dedicata una poesia in dialetto del celebre attore romano Checco Durante : “St’usanza che pareva bella e morta / è tornata de moda ‘n’artra vorta. / Mo’ mezzogiorno a tutte le perzone / j’ariviè segnalato dar cannone. / Quanno lo sento penzo co’ la mente / na prejera che viene su dar core / e mormoro: Signore! / Fa ch’er cannone serva solamente / pe’ dì all’umanità / che sta arrivanno l’ora de magnà“, ovvero: “Questa usanza che sembrava bella e morta / è tornata di moda un’altra volta. / Adesso mezzogiorno a tutte le persone / riviene segnalato dal cannone. / Quando lo sento penso con la mente / una preghiera che viene su dal cuore / e mormoro: Signore! / Fai che il cannone serva solamente / per dire all’umanità / che sta arrivando l’ora di “mangià“.